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Il sapore della felicità condivisa

Il 19 marzo del 1850, Charlotte Brönte scrive una lettera a William Smith Williams, l’editore presso Smith Elder che per primo aveva riconosciuto in lei una straordinaria scrittrice. Williams le ha inviato alcuni libri da leggere, e lei, nel ringraziarlo, usa una frase divenuta famosa e che oggi troviamo citata ovunque: “la felicità non condivisa può a malapena essere chiamata felicità. Non ha sapore/gusto.” (Happiness quite unshared can scarcely be called happiness—it has no taste). Per le persone misantrope e asociali, o anche semplicemente un po’ solitarie, che ritengono che la solitudine sia l’unica felicità (beata solitudo, sola beatitudo), l’affermazione sembra del tutto errata. Eppure, è difficile non riconoscere che esiste un tipo di felicità che richiede la sua condivisione per essere goduta a pieno e non restare incompleta. Non si tratta della felicità intesa come contentezza. Come si sa, questa fa riferimento allo stare bene con se stessi e con la propria vita, in pace con l