L'intellettuale critico e la bacchetta magica (series: notes to myself)

(Grazie a Arianna Bonino per l'immagine)

Leggo (anche se cerco di non farlo) tante interpretazioni e tante critiche della nostra epoca. 

Alcune sono strampalate (Agamben) altre esagerate (Klein). Alla fine della lettura mi viene sempre da dire: "BUM!", il che non è un buon segno. 

Ma a parte i loro limiti intrinseci (le troppe cose sbagliate o tirate per i capelli che sostengono), mi delude sempre la mancanza di una visione propositiva. È facile fare l'interprete e il critico con le idee altrui (cit.). Come ricordo alle mie studentesse e ai miei studenti, per criticare basta essere smart & sharp (e chi arriva a Oxford in genere lo è) ma per dire qualcosa di propositivo bisogna essere un po' deep (e su questo Oxford non è necessariamente una garanzia, il sistema sembra privilegiare s&s). E le critiche e le interpretazioni in questione non mi risultano deep, solo profondamente superficiali. Non mi danno mai una bella risposta (sulla quale poter anche essere in disaccordo, ma una risposta bella cicciotta, pesante, ricca di conseguenze) alla domanda: "va bene, non ti scaldare, assumiamo che tu abbia ragione, ma allora che facciamo?". 

Invece si surriscaldano, e tanto. Gli bolle il sangue, agli intellettuali critici. E sbattono il pugno ermeneutico sul tavolo della storia, le sparano sempre più grosse, a palle incatenate... parlano in grassetto corsivo, perché non avendo niente da dire sul che-fare, possono solo alzare la voce su quello che non va, che deve cambiare, che è insopportabile, inammissibile, inaccettabile. 

Ci mancherebbe, ma che noia. A uno come me gli viene da dire che sono decenni che sento le stesse cose, più o meno smart & sharp. Che il disco rotto non mi fa più impressione, anche se alzano sempre di più il volume. Alla prossima tirata sul capitalismo, sulla sorveglianza, sull'eccezionalità, contro il cellulare in classe ieri e la didattica online oggi... non obietto ma chiedo di provare a scrivere il capitolo successivo, quello in cui mi spieghi tu che faresti per migliorare la situazione. Perché quello è difficile assai, ma è ormai di quello che abbiamo tanto bisogno. 

Ma su quello, sull' allora-che-facciamo, le critiche e le interpretazioni tacciono. Non spetta all'intellettuale fare proposte, mi dicono. L'intellettuale critica, denuncia, interpreta, analizza, svela o smaschera... Un po' come quelli che ti dicono che la filosofia pone domande, ma si guarda dal dare risposte (quali classici abbiano letto su questo non lo so, visto che da Platone in poi la filosofia ha sempre offerto risposte). È il trionfo dell'aporesi (soprattutto nel senso di alcuni dialoghi platonici, non tanto nel senso scettico) che poi vuol dire che tutto il compito dell'intellettuale critico si esaurisce nel sollevare problemi, provocare, mettere in forse, dubitare, sospettare, anche a costo di risultare strampalato o esagerata. Il fascino discreto della "cultura del sospetto" è irresistibile per l'intellettuale che critica ma non s'impegna.

Il test è semplice: la prossima volta che leggete un intellettuale critico criticare intellettualmente qualcosa, chiedetegli, almeno mentalmente: ma tu, che faresti, se avessi la bacchetta magica?

È una domanda molto crudele, lo so. Perché evidenzia che sotto le interpretazioni e le critiche non c'è niente, nessun progetto, uno straccio di proposta, un'idea su come ridisegnare la realtà. L'intellettuale critico vive e prospera alle spalle della cultura e della società che critica, ne ha bisogno come il parassita ha bisogno del suo ospite. Con l'ulteriore vantaggio di poterne parlare male. Deve essere una posizione molto confortevole: vivere della critica all'ingiusto sentendosi così a posto con la coscienza e del tutto nel giusto, senza fare lo sforzo, spesso sporco, di cambiare il molto ingiusto nel meno ingiusto. All'intellettuale critico piace vincere 1-0, non 2-1. Il sospetto è che sotto sotto non può (e forse non vuole) veramente cambiarla, questa realtà che critica, perchè se cambiasse, il suo ruolo sarebbe finito.

Per questo, se offri all'intellettuale critico la bacchetta magica, la spezzerà subito in due e la butterà nel fuoco, perché il suo compito è interpretare e criticare quello che non va, mica dirti come facciamo a migliorare il mondo.

Comments

  1. Né sharp né smart. Se di un problema complesso, percepito con molti diversi gradi di consapevolezza (spesso a seconda delle convenienze, e delle fissità mentali, il che è già un "problema") non si riesce ad elaborare una possibile soluzione condivisa, si conclude che il problema non esiste o che alla stregua di un fenomeno naturale non possiamo modificare le leggi che lo determinano, quindi è un falso problema, o un problema di percezione. Ecco che emerge il mondo che abbiamo quale il migliore dei mondi possibili... essendo tutti gli altri non attuali, dunque impossibili! Ecco che non esistono più sistemi di controllo e regolazione sufficienti o insufficienti, ma solo quelli che si costituiscono spontaneamente. Insomma, il mondo non si determina, ma si autodetermina e i singoli non possono far altro che scaldarsi inutilmente o fare i complottisti pur in assenza di agenti riconoscibili capaci di cospirare o agire unicamente per il proprio tornaconto. Infatti, se esistessero, dovrebbe allora essere anche possibile agire intenzionalmente per il bene comune, ovvero per determinare soluzioni di problemi, a meno che i problemi non siano ontologicamente distinti in quelli reali, che riguardano i singoli e i piccoli gruppi di interesse e quelli, fasulli, che riguardano la globalità. E in tal caso non esisterebbe qualcosa come la coscienza di specie, ma a mala pena quella del singolo e, parecchio, l'istinto del branco che, nella specie umana, corrisponde con l'istinto di conservazione... dei privilegi. È questo il miglior ritratto del mondo? Credo che la risposta sia affermativa, e che al massimo si possa parlare di, e pretendere dai filosofi, "timide iniziative", non soluzioni di problemi.

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  2. Aggiungo pure che un esame critico non deve avere necessariamente l'obiettivo di prospettare soluzioni, cosa che in molti casi è oggettivamente complicata, specialmente in assenza di consapevolezza diffusa o distorta. Infatti anche l'accrescere la consapevolezza della nostra condizione è un modo legittimo del critico di innescare processi di miglioramento possibili. Come per esempio fa questo autore che sto leggendo: http://www.unacitta.it/it/intervista/2727-la-meritocrazia.

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