Futuro Antico. Intervista al filosofo Luciano Floridi By Marco Bassan -11 Gennaio 2023 per Arttribune

Condivido la versione corretta dell'intervista uscita su Arttribune. Purtroppo la versione pubblicata per errore è la prima bozza.



LA FILOSOFIA DELL’INFORMAZIONE, LA FILOSOFIA DELL’INFORMATICA E L’ETICA INFORMATICA SONO I CAMPI DI INDAGINE DI LUCIANO FLORIDI, AL QUALE ABBIAMO CHIESTO DI RIFLETTERE SUL DOMANI




Il filosofo Luciano Floridi (Roma, 1964), naturalizzato britannico, è professore ordinario di Filosofia ed etica dell’informazione presso l’Oxford Internet Institute dell’Università di Oxford. È anche professore di Sociologia della comunicazione presso l’Università di Bologna, dove dirige il Center for Digital Ethics. 


Dall’arte agli auspici (e ai timori) per il domani, ecco una sintesi del pensiero di Floridi.

 

 

Quali sono i tuoi riferimenti ispirazionali nell’arte?

 

Evitando i grandi classici come Raffaello, Michelangelo e Caravaggio l’arte contemporanea che trovo più vicina a me, anche filosoficamente, e da cui traggo ispirazione è la Land Art. Ho come la sensazione che forse sia avvenuta troppo presto e si sia consumata in un periodo in cui non la si è capita abbastanza e oggi sia talmente scontata che abbia superato il suo momento di rottura e quindi non sia più di moda. È partita così tanto in anticipo e in un momento in cui la nostra comprensione per l’ambiente non era così raffinata che credo che se si sviluppasse oggi sarebbe dirompente. Per Land Art non intendo solamente le installazioni in natura di Richard Long ma anche l’arte urbana che racconta un modo di vivere l’habitat che è sensibile nei confronti degli aspetti più estetici della nostra esistenza. Infine, un’opera che di recente mi ha colpito particolarmente sono le sinopie degli affreschi di Mezzaratta nella Pinacoteca di Bologna [LF: vedi immagine sopra in questo blog]. Le figure vagamente accennate, quasi etere di questi disegni preparatori, rimossi da una chiesa ed esposti nella pinacoteca, hanno un aspetto estraneamente contemporaneo che tracciano a mio parere con la Land Art un filo rosso in cui l’umano si fonde con il naturale e con l’ambiente.

 

Quale progetto ti rappresenta di più? Puoi raccontarci la sua genesi?

 

Dal punto di vista biografico, quasi intimistico, è um libricino che ho realizzato recentemente che si chiama Notes to myself - Notes wrapped around a bottle with a rubber band (la copertina è un dettaglio delle sinopie di cui parlavo). Il sottotitolo prende ispirazione dal libro di John Steinbeck, Viaggio con Charley, in cui ad un certo punto parla di alcune note che ha messo insieme nel corso di quel viaggio, in cui descrive un’America che sta sparendo: "And I made some notes on a sheet of yellow paper on the nature and quality of being alone. These notes would in the normal course of events have been lost as notes are always lost, but these particular notes turned up long afterward wrapped around a bottle of ketchup and secured with a rubber band.” Questo mio libro è una selezione di note che raccolgo in un blog e che ho deciso di pubblicare su Amazon al prezzo più basso possibile per il cartaceo e gratuito in formato digitale. Mi piacerebbe aggiornare l’edizione regolarmente, con nuove note. Sono note brevi, non strettamente collegate, idee per libri che non scriverò mai, ricordi che mi hanno formato. Sono note non fatte per apparire in un certo modo, ma solo per raccontare le tante cose che passano per la testa e che probabilmente non andranno mai da nessuna parte. Scrivendole riesco a sgombrarmi la testa da esse. Lo diceva bene Gilbert Ryle che pubblicava testi proprio per toglierseli dalla testa, per fare un dumping di idee. Ovviamente queste note nel libro sono curate, ma, come per la barchetta di carta lasciata andare sul fiume, la cura è un modo per liberarsi di queste idee.  

 

Quale è l’importanza per te del Genius Loci nel tuo lavoro?

 

È fondamentale, e paradossalmente avrei una risposta duplice: esiste un Genius Loci esterno e uno interno.

Grazie a mia moglie, che è il vero genio della famiglia, ho capito che ho un Genius Loci agostiniano, interno, uno spazio mentale al quale accedo con una facilità impressionante ovunque io sono. Mi assento mentalmente senza difficoltà. Agostino diceva: “Noli foras ire. Non uscire fuori, la verità abita al tuo interno" e questa frase, che rimane famosa nella storia della filosofia, viene anche ripresa da Rilke in Lettere a un giovane poeta. Questo interno è il mio Genius Loci agostiniano.

Il secondo Genius Loci è rappresentato dagli spazi in cui lavoro. Abbiamo scelto apposta una casa bellissima, una vecchia fattoria ristrutturata nella campagna inglese, con grandi spazi e un immenso silenzio. In questo caso il Genius Loci è un po’ bucolico e anche qui si può rintracciare la mia passione per la Land Art. Non ho un senso della natura come qualcosa di immacolato, genuino o primordiale. Per me la natura è in realtà un concetto culturale, una produzione della nostra concettualizzazione del mondo e del nostro esperirlo. In ogni differente cultura ciò che è naturale è differente, basti pensare alla promiscuità sessuale dei greci che con il cristianesimo diventa innaturale, o la naturalità di un giardino fatto solo di pietre e ghiaia. L’idea è che la natura è un prodotto concettuale e questa campagna inglese in cui vivo non ha niente di intoccato: ogni filo d’erba è stato curato da generazione, ogni albero è stato potato, ogni rosa è stata importata, ogni pietra è stata spostata… però questa cura ci da un senso di abitabilità di uno spazio che è consono alla cultura interna.

Infine, l’altro Genius Loci esterno è Guarcino, un paesino in provincia di Frosinone dove abbiamo una casa che appartiene alla mia famiglia da secoli e che per me rappresenta le mie radici. La mia famiglia ha vissuto a Guarcino sin dalle crociate e lì c’è la tomba di famiglia. È da quando ho cinque anni che mio padre mi ricorda che sarò seppellito lì, entrando a destra.

 

Quanto è importante il passato per immaginare e costruire il futuro

È assolutamente fondamentale ma deve essere fatto in maniera nietzschiana, liberandoci da esso. Nel testo Sull'utilità e il danno della storia per la vita Nietzsche ci mostra quanto la storia possa essere un fattore completamente bloccante. Se tu sai troppo del passato la tua capacità di innovazione è paralizzata. Qui ad Oxford, come in ogni università, gli studenti si dispongono su una curva gaussiana, a quelli più bravi, che si trovano completamente a destra della gaussiana, la prima cosa che raccomando è di smettere di leggere, prendere carta e penna e cominciare a pensare, togliersi da davanti agli occhi la luce accecante dei grandi maestri, rimanere nella penombra, farsi qualche idea propria, e armarsi di quelle idee per affrontare, il pensiero altrui, la tradizione scientifica, umanistica e culturale in cui si lavora, il passato, in poche parole la storia. La storia è fondamentale ma come secondo momento dialettico, è ciò con cui dobbiamo confrontarci ma non deve essere il punto di partenza, non ci deve fronteggiare, se si parte dalla storia quasi sempre ci si rimane invischiati. Il progresso si fa in seconda battuta confrontandosi con la storia, ma in prima battuta pensando qualcosa di nuovo. Prima arrivano le idee e poi il riscontro con la storia.

 

La cultura italiana ha grandi difficolta a scardinarsi dalla storia e per questo rischia di essere ingessata, e quando arrivano delle reazioni, come quella dei futuristi, sono spesso di strappo poiché si sente la necessità violenta di reagire a quella che sarebbe una presenza soverchiante. Chi invece riesce a confrontarsi in seconda battuta con la storia lo può fare senza bisogno di quella violenza iniziale. L’innovazione non è necessariamente rivoluzione, ma può essere una evoluzione sulla base di un rapporto dialettico. Faccio un esempio fuori dal mondo artistico. Pensiamo a Adriano Olivetti. La storia di un uomo geniale e di una straordinaria azienda può diventare soffocante. Celebrando e musealizzando Olivetti andremmo esattamente in direzione opposta a ciò che lui ha fatto, e invece di seguire la sua lezione, di costruire qualcosa a latere e poi confrontarsi con la tradizione, rischieremmo di fare di lui un riferimento mummificato, che può essere solo ammirato. Sarebbe il modo peggiore di celebrare la memoria di un genio che ha fatto esattamente il contrario. Questo succede sempre con tutti i grandi innovatori che abbiamo avuto in Italia, li si mette sull’altare e poi si cominciamo ad accendere le candeline. La filosofia moderna la facciamo partire con Cartesio che è un ingegnere militare e la filosofia la contemporanea la facciamo partire con Wittgenstein che è un ingegnere aeronautico. Loro facevano filosofia venendo non da anni di studi di filosofia medievale né venendo da anni di studi di filosofia moderna ma arrivando a latere con le loro idee che confrontano poi con la storia e la tradizione in seconda battuta.

 

Che consiglio daresti ad un giovane che vuole intraprendere la tua strada?

Caute ambizioni.

L’esempio perfetto si trova nell’alpinismo, anche se parlo da dilettante. Pensate all’ambizione di voler scalare la vetta più alta che riuscite ad immaginare ma con la cautela di chi fa un passo dopo l’altro, e che in montagna c’è stato e ne conosce i rischi. A volte consigliamo troppa cautela o troppa ambizione ma la combinazione tra le due per me è l’approccio giusto. Mete ambiziose, grande cautela nella metodologia e nella preparazione preparazione.

Abbiate il coraggio di avere grandi ambizioni ma anche la cautela di misurare i passi per arrivarci. E quello è un grande lavoro. L’ambizione è qualcosa di buono se alimentata dallo sforzo necessario per soddisfarla.

E poi pensare con la propria testa, iniziare sempre ogni volta con la volontà interna di chiedersi: che cosa voglio fare? Chi voglio essere? E solo dopo confrontarsi con che cosa il mondo vorrebbe farci fare, vorrebbe che fossimo.

 

In un’epoca di post verità il concetto di sacro ha ancora importanza e forza?

C’è secondo me la possibilità che la nostra cultura vada verso un concetto di sacro che non è religioso. Che ci sia una sorta di rispetto sacrale per quello che abbiamo intorno a noi, sia di non creato da noi sia di creato da noi (per la natura e per la cultura) e che questo rispetto abbia qualcosa in se di sacrale ma non trascendente. Fatto questo chiarimento la domanda diventa complicata, perché il concetto del sacro ha una forza enorme se vissuto in maniera immanente e non trascendente. Se ci riuscissimo il mondo sarebbe un posto migliore, poiché implicherebbe cura e rispetto dell’altro come qualcosa di irripetibile e preziosissimo. Mi sembra possibile ma, detto questo, non è la direzione che vedo. Al momento infatti mi sembra che si stia andando o verso l’assenza del sacro, per cui tutto può essere distrutto e ricreato, o verso una sacralità di tipo trascendente e quindi assoluta, in cui si generano anche scontri intolleranti tra diversi assolutismi. Vorrei una sacralità che fosse di tipo culturale e naturale, come mi piace immaginare fosse quella dei greci.

Ci sono due libri che recentemente mi hanno trasmesso questo senso di sacralità di cui parlo, il primo è Gli Anni di Annie Ernaux (confesso di averlo letto e ammirato prima del Nobel) e il secondo è di Salvatore Satta, Il giorno del Giudizio (un libro che avrebbe meritato il premio Nobel). In entrambi si percepisce la forza della sacralità dell’umano, la forza della vita mentale: non quella della pianta, ma la forza del capitale semantico.

 

Come immagini il futuro? potresti darci tre idee che secondo te guideranno i prossimi anni

 

A questa domanda posso rispondere in due modi: il primo è come temo che vada, il secondo è come desidero che vada.

Se devo fare una previsione penso che il futuro sarà molto difficile perché l’ambiente non ci perdonerà i nostri comportamenti e ciò che stiamo vedendo oggi è solo un’anticipazione di ciò che sarà in futuro. Abbiamo scatenato forze che non possiamo controllare, ci sarà anche un’alba ma la notte sarà molto buia.

Ogni anno c’è un giorno in cui terminiamo le risorse disponibili nel mondo per far funzionare la società umana e quel giorno arriva sempre prima. La tecnologia in questo ci può aiutare moltissimo e forse ci sarà un’alba in cui l’umanità sarà più intelligente, più attenta, più tollerante.

Le tre idee che mi chiedi forse servono per capire come superare questa nottata in maniera un po' più semplice, ma qui inizio a parlare di come mi piacerebbe che il futuro fosse. 

La prima idea è la resistenza culturale all’imbarbarimento che esiste ed è sempre esistito in ogni generazione. È da sempre che noi siamo sia barbari sia civilizzati e da sempre la civiltà deve resistere alla barbaria, l’umanità deve resistere a se stessa. È una lotta continua, si deve continuare a vincere, non si vince mai una volta per tutte. La velocità con cui si crea la civiltà è identica alla velocità con cui la si distruggere. Va costantemente rinnovata.

Il vandalismo contro il capitale semantico deve vedere un enorme impegno nella sua cura e tutela. 

Insieme alla cura direi che la seconda idea è l’accrescimento e l’arricchimento dello spazio all’interno del quale operiamo, lo spazio che da senso all’uomo e all’esistenza. Che cosa vuol dire oggi arricchire il capitale semantico, come metterlo a frutto come evitare di sprecare i talenti (come insegna la parabola del vangelo, e lo dico da agnostico)?

La terza idea è politica. Abbiamo bisogno di un enorme rinnovamento politico, reinventare il capitalismo e riformare la democrazia. Dobbiamo riuscire ad approfittare della grande eredità che abbiamo. Ancora una volta, con una difficolta nuova però, che è quella di avere avuto successo in passato. Quando hai avuto un grande successo, come quello dello sviluppo del capitalismo e della democrazie novecentesche, è molto difficile innovare, tendi a ripetere un vecchio successo che non funziona più. 

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